La normativa attualmente in vigore in Italia per quanto riguarda la qualità dell’acqua potabile o, più precisamente, dell’acqua destinata al consumo umano, è rappresentata dal D.Lgs. 31/2001 e dalle successive modifiche ed integrazioni del medesimo. Poiché l’Italia è Stato Membro dell’Unione Europea, tale legge rappresenta il recepimento di una direttiva europea, nello specifico della direttiva 98/83/CE. Rispetto alla direttiva stessa, la legge italiana, come consentito dalle norme europee, fissa per alcuni parametri limiti più restrittivi (ad esempio: trialometani, torbidità) e ne contempla altri da essa non previsti (ad esempio: cloriti, disinfettante residuo). I limiti fissati sono indicati col temine “valore di parametro” (VP) e non devono essere superati, a meno che non vengano richieste deroghe, che possono comunque avere solo valore transitorio.
La normativa vigente suddivide i parametri da sottoporre a controllo in: parametri indicatori, quali odore, colore, sapore, pH, durezza (allegato I, parte C); parametri chimici, concernenti tra l’altro sostanze quali arsenico, piombo, antiparassitari, ecc. (allegato I, parte B); parametri microbiologici quali Escherichia coli ed enterococchi (allegato I, parte A); parametri concernenti la radioattività quali trizio e dose totale indicativa.
Il D. Lgs. 31/2001 fissa inoltre protocolli e frequenze di monitoraggio dell’acqua destinata al consumo umano, distribuita sia in rete, sia mediante cisterne, contenitori, bottiglie. Fanno eccezione le acque classificate come minerali, alle quali si applica una specifica normativa. I controlli di qualità dell’acqua distribuita vanno effettuati sia dal gestore, mediante laboratorio proprio o di altro gestore, sia dall’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente. Si parla pertanto rispettivamente di controlli interni e di controlli esterni.